IRIS sas Idee & Reti per l'Impresa Sociale - Comunicare nel Non Profit
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Comunicare nel Non Profit PDF Stampa E-mail
 Titolo: Comunicare nel Non Profit

Autori: A cura di Giuseppe Ambrosio e Maurizio Regosa

Editore: CAROCCI FABER

Anno: 2004

Prezzo: € 20,50

ISBN: 88-7466-082-0 (questo è quello stampato sul retro della copertina!)
Sul sito dell'editore compare questo: 9788874660827

Sito web dell'editore: www.carocci.it

Nota
La comunicazione nel non profit possiede una sua specificità distintiva? Il presente volume, nato dal corso di comunicazione realizzato in partnership da CGM (Consorzio nazionale di cooperazione sociale Gino Mattarelli) e da "Vita Non Profit Magazine", intende soddisfare questo interrogativo attraverso un percorso articolato e completo. Oltre ad indagare sui principi e sull'etica professionale del comunicatore sociale, il libro si propone di precisare gli obiettivi, le strategie e gli strumenti della comunicazione del non profit. In modo particolare mira a valorizzare il sistema di relazioni, formali ed informali, che pervade il Terzo settore.

Notizie sugli autori
Giuseppe Ambrosino, direttore di Vita Comunicazione, è docente presso la Divisione amministrazioni pubbliche, sanità e non profit della Scuola di direzione aziendale dell'Università Bocconi di Milano. Maurizio Regosa, giornalista professionista, è responsabile dell'area Comunicazione di CGM e docente a contratto nel corso di laurea in Scienze della comunicazione dell'Università di Firenze. Sulla comunicazione audiovisiva ha pubblicato: Alain Resnais. Il metodo, la creazione, lo stile, 2002; Per un'analisi del trailer cinematografico, 2003.

Pagine scelte
Pag. 15
Prima regola: "Chi parla, a chi, per che cosa?" Una comunicazione per riuscire deve rispondere a questa prima, elementare regola. Obiettivo delle organizzazioni e imprese del Terzo Settore non deve essere l'indefinito apparire nel mondo dei media, ma il comunicare deve essere di volta in volta finalizzato al raggiungimento di obiettivi specifici. Diversa sarà la comunicazione che mira a far conoscere le attività di un'associazione da quella che mira alla raccolta fondi. Diversa sarà la comunicazione indirizzata verso i soci da quella verso l'opinione pubblica e la società in generale. Saranno diversi gli strumenti, i mezzi, il linguaggio scelti.

Pag. 26
…Chi dovrebbe occuparsi di relazioni pubbliche in un'organizzazione non profit? La risposta non è banale come potrebbe sembrare, perché influenzata dalla presenza frequente di un leader carismatico e anche dal carattere intrinsecamente "diplomatico" e "politico" di qualsiasi non profit. Il primo aspetto tende a schiacciare molte funzioni aziendali, come forma di reazione a uno sviluppo manageriale dell'organizzazione; quindi si rientra nello schema classico del fondatore, un po' "padre-padrone" che afferma: "Non c'è bisogno che qualcuno se ne occupi perché tanto mene occupo io". Il secondo aspetto è quanto mai importante e caratterizza molte organizzazioni nel rapporto tra i molteplici costituenti" (coloro che patrocinano, sostengono o partecipano a una non profit) e il management. I primi (fondatori, volontari, beneficiari, donatori) infatti fanno spesso a gara ad accaparrarsi posizioni influenti, mentre tutta a gestione del management deve essere improntata a un utilizzo attento della diplomazia per poter persuadere e attrarre efficacemente le risorse.

Pag. 48
….un piano di comunicazione "è una concatenazione di azioni di informazioni verso un risultato" e se quest'ultimo può essere predeterminato, le azioni vengono sì predisposte ma per diventare sempre più efficaci devono essere ricalibrate di volta in volta in base alle risposte degli interlocutori. È determinante quindi, per chi si occupa di comunicazione e soprattutto per chi si occupa di comunicazione sociale, valutare le reazioni provocate da ogni azione dal momento che il nostro scopo non è quello di imporre un'informazione ma di comunicare, promuovere quei valori che per la loro utilità collettiva riteniamo possano diventare universali. Occorre in primo luogo definire quale immagine l'organizzazione voglia dare di sé; per questo i responsabili dovranno ripensare l'identità, le caratteristiche, la missione, i punti chiave e le criticità, ponderare le risorse, gli obiettivi, il target a cui intendono rivolgersi per presentarsi con un'immagine ben definita e un messaggio che dichiari cosa l'organizzazione è in grado di offrire. La coerenza e la serietà consiste anche nel definire il proprio raggio d'azione e quindi ammettere i limiti il che, da un punto di vista comunicativo, serve a conquistare la simpatia dell'interlocutore, stimola la sua sensibilità, lo invoglia a collaborare, lo coinvolge e lo fa sentire partecipe delle motivazioni e delle scelte.

Pag. 60-61
La struttura organizzativa di una non profit è evidentemente incentrata sulla sua missione sociale e umanala cui realizzazione dipende dalle persone, dalla loro sensibilità ai problemi affrontati, dalla capacità di partecipare all'attività operativa. "La quantità o la qualità di servizi che si riescono ad offrire o i fini che si riescono a raggiungere sono proporzionati al grado di competenza e professionalità di chi lavora e al modo in cui si organizza il lavoro stesso". L'organizzazione non profit inoltre, ha una differente articolazione gerarchica estesa molto più in orizzontale rispetto all'impresa privata, con un'ampia articolazione di figure, non solo a minor qualificazione (volontari, obiettori di coscienza, tirocinanti), ma che possono presentare anche problematicità (si pensi ad esempio ai soci svantaggiati nelle cooperative sociali di tipo B) influenzando inevitabilmente le modalità di lavoro. I dirigenti di una non profit, nella loro attività di gestione, dovranno dunque tener conto delle caratteristiche specifiche di cui s'è detto; la comunicazione interna si rivela un valido supporto sia per la gestione del cambiamento al passaggio tra le due fasi del ciclo di vita dell'organizzazione, sia alla diffusione di informazioni e alla condivisione di conoscenze nell'articolata e particolare struttura organizzativa, sia, infine, per motivare e formare le risorse umane.

Pag. 92
Fare fund raising significa instaurare un rapporto di reciprocità tra due soggetti dove la creazione di valore venga percepita da entrambi. Sarebbe utopico e non sostenibile credere che il donatore venga spinto al gesto di solidarietà in base alla "bontà" del progetto sociale. La presenza di innumerevoli e meritorie iniziative sociali ha sviluppato sempre più in questi anni una naturale ricerca e studio dei motivi che dovrebbero portare un donatore a scegliere proprio una certa organizzazione. Con il fund raising infatti non solo si raccolgono fondi ma si informa, si educa e si trasmettono valori che possono portare a una crescita di ogni individuo.

Pag. 117
Vi sono molte definizioni dell'impresa a rete, a seconda del punto di vista dal quale si intende analizzare questa particolare realtà. Ne ho scelte due, che mi pare contribuiscano bene a far emergere alcuni tratti salienti e rilevanti sotto il profilo che ci interessa, quello dei flussi comunicativi. Anzitutto questa affermazione di Pichierri: "L'organizzazione a rete è un modello stabile di transazioni cooperative tra attori individuali o collettivi che costituisce un nuovo attore collettivo". Ciò che sottolineerei principalmente è il fatto che il tutto, in questa definizione, non è l'insieme delle parti, è qualcosa di diverso, di nuovo: in altri termini l'impresa a rete non è un'organizzazione che assomma una pluralità di realtà, è un organismo costituito da molte realtà che però a sua volta è diverso, ha dei tratti specifici e contemporaneamente dei collegamenti con tutte le differenti realtà che lo costituiscono. In altri termini, i confini giuridico-organizzativi del "soggetto-impresa" centrale non coincidono con i confini dell'azione tecnica e gestionale dello stesso soggetto, mentre il vero "contenitore" e "regolatore" dei processi economici e organizzativi è costituito dalla relazione tra le imprese della rete, e non più dalla struttura di una singola impresa. L'altra tesi dalla quale vorrei partire è di Boerzel, secondo il quale l'impresa a rete è un "insieme di relazioni relativamente stabili, di natura non gerarchica e interdipendente, fra una serie di attori collettivi, ovvero di organizzazioni di carattere pubblico e privato che hanno in comune interessi e/o norme rispetto a una politica e che si impegnano in processi di scambio per perseguire tali interessi comuni riconoscendo che la cooperazione costituisce il miglio modo per realizzare i loro obiettivi". Mi piace di questa seconda definizione sottolineare tre aspetti: la natura non gerarchica delle relazioni, la loro stabilità (cioè non casualità) e l'impegno comune. Prende così forma un'identità forse più puntuale di impresa a rete: non è la somma delle parti che la compongono, ma pure non esercita rispetto alle forme organizzate che le danno vita alcun potere di controllo, non è per così dire al vertice della piramide, non si pone come la testa pensante rispetto a un massiccio corpo al lavoro. Di più, l'impresa a rete funziona sulla base di un contratto esplicitato, a sua volta fondato sulla stabilità di una relazione non gerarchica e sull'impegno comune (cioè su alcuni obiettivi condivisi e sentiti come urgenti, necessari).
 
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